Sono stato ad una seguitissima fiera dell’artigianato in un megamercato a Rho, detta anche Milano fiere. Sono andato a fare lo “sherpa” – con a spalle uno zaino da 52 litri – per un gruppo di amici che compravano regali per Natale: e che mi hanno caricato come un somaro.

Preso il treno dell’alba a Santhià, dopo aver parcheggiato l’auto in un acquitrino buio ma adiacente la ferrovia, ho subito realizzato che andare in quel posto in un giorno feriale non propriamente una “partenza intelligente” come pianificato a tavolino. Nel tragitto dal parcheggio alla stazione un drappello di disperati si divideva in due tronconi: il primo procedeva a passo spedito, quello tipico del pendolare che cammina nel sonno ogni mattino, con valigette, borse e inevitabili portavivande camuffati da anonime sacche; il secondo marciava invece all’inconfondibile passo lento dei gitanti.

Sul lunghissimo treno c’è calca e il nostro “gruppone” vira a destra e a sinistra per i corridoi tentando maldestramente di confondersi con il popolo dei lavoratori che affolla le carrozze. Finalmente, mi accascio come una massa informe nel primo sedile libero. Fa caldo, dunque mi spoglio un po’ contorcendomi da seduto.

Vicino c’è un giovane barbuto che dorme con la berretta calata sugli occhi; dall’altro lato una signora con i capelli rossi lavora alacremente sullo smartphone, come tutti quelli rimasti svegli: penso a quanto sono lontani i tempi in cui sul treno sembrava di essere in una biblioteca viaggiante. Allontano quei pensieri lontani e mi addormento al ritmo delle giunte dei binari.

Dalla stazione di Rho Fiera in poi non vediamo più il cielo, ci spostiamo sui tapis roulant tra ali di gente, entriamo in un lunghissimo corridoio e finalmente facciamo ingresso del megamercato.

Tra magliette manga, campane tibetane, the alla rosa damascena e cibi di ogni tipo, il nostro gruppetto vaga in lungo e in largo tra bancarelle boliviane e interi quartieri nordafricani, per poi arrivare nella zona dell’India tra incensi e pashmine di seta.

Ci districhiamo tra spettacoli etnici di danze esotiche e odori dei ristoranti più disparati: in quello australiano si può degustare carne di coccodrillo e di canguro, ma noi optiamo, per l’ora di pranzo, per un più tranquillizzante “irish pub” con merluzzo impanato e patatine.

Il dopo pranzo è dedicato ai padiglioni europei, dove tutto è più rassicurante e costoso. Il posto che all’ultima edizione era occupato dai numerosi stand russi ora lo è da quelli dell’Ucraina, resiste solo quello del caviale; irrimediabilmente scomparso pure lo stand dell’Afghanistan. Insomma anche il commercio segue le sue regole.

Sul treno del ritorno non guardo il ritorno dei pendolari e mi addormento per tutta la durata del viaggio. Finalmente in casa a levarsi le scarpe e a svuotare gli zaini: anche per quest’anno figli, nipotini e amici avranno regalini da ogni parte del mondo, come se avessimo viaggiato in lungo e in largo per il globo.