Tenuta Roletto
Risvegliopopolare.it

domenica 26 Ottobre 2025

Reale mutua
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domenica 26 Ottobre 2025

Ha concelebrato il Vescovo di Ivrea, Mons. Daniele Salera, con il parroco Don Valerio D'Amico

VEROLENGO MADONNINA - Per la novena in preparazione della Festa del Santuario ospite il Card. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino - Molto seguita l'illuminante omelia (integrale in video) che ha offerto una lezione semplice e persuasiva su cosa voglia dire essere veri discepoli di Gesù  - IL VIDEO E LA GALLERY

Ancora molti appuntamenti che si possono leggere qui

Novena in preparazione della Festa della Madonnina, il Santuario mariano che è punto di riferimento spirituale non soltanto per Verolengo, ove sorge, ma anche per una comunità assai più vasta, che si estende dal Canavese, al...

Ieri, 4 ottobre, Solennità di San Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia

PONT CANAVESE - Don Gian Paolo Bretti, nuovo Parroco di Santa Maria Assunta e San Costanzo - L'abbraccio del popolo di Dio, l'omaggio delle Istituzioni - Santa Messa presieduta dal Vescovo di Ivrea, Mons. Daniele Salera - VIDEO DI 40 minuti con un'ampia sintesi della Liturgia - La gallery

Unanime la riconoscenza per Don Aldo Vallero, che ha servito la comunità per oltre 50 anni

Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Solennità di San Francesco, Patrono d’Italia, è certamente un dono particolare della Provvidenza iniziare un ministero pastorale così importante come quello di Parroco (Pievano) presso una...

Un totale di 129 espressioni di voto sui documenti

ROMA - Terza Assemblea Sinodale - Domani, venerdì 24 ottobre, al via i lavori che prevedono anche la partecipazione al Giubileo delle Equipe sinodali con Papa Leone XIV - La delegazione di Ivrea guidata dal Vescovo Mons. Daniele Salera 

Chiesa abitata  “da donne e uomini che interpretano figure plurali di esperienza credente"

(Elisabetta Acide ) – La delegazione di Ivrea, guidata da S.E.R. Mons. Daniele Salera e...

Parrocchie di San Giacomo e San Michele

RIVAROLO CANAVESE - Una bella festa per l'inizio dell'Anno oratoriano - Bambini appartenenti alle 18 classi di catechismo, accolti da Animatori e Catechisti in un clima di entusiasmo e allegria - S.Messa presieduta dal Vice Parroco Don Antonio Luca Parisi - LA GALLERY - 

L’anno si è appena iniziato, ma le premesse sono già cariche di entusiasmo, fede e condivisione.

(anita zuffi) – Sabato 11 ottobre si è svolta presso i locali dell’Oratorio di San Michele,...

Sabato 4 ottobre, lungo un itinerario che ha svelato la bellezza di un territorio amico

AGLIE', CUCEGLIO, OZEGNA, SAN GIORGIO - In cammino sinodale tra i 4 Santuari mariani - Splendida giornata di grande significato per l'inizio dell'Anno pastorale - Nel giorno di San Francesco, celebrata l'umiltà - Momenti di vita in comune nella gioia e nell'affidamento a Maria - Integrale nel VIDEO l'omelia di Don Luca Meinardi - Gallery di 120 immgini - 

Madonna delle Grazie, Beata Vergine Addolorata, Madonna del Bosco e Misobolo

(fabrizio conto) –  Tutti uniti nel cammino sinodale, pellegrini di speranza con Maria. Nell’anno del Giubileo ed a poca distanza dal l’assemblea diocesana, le comunità parrocchiali di Cuceglio, Ozegna, San...

Santa Messa presieduta da Padre Alessandro Codeluppi C.O.

FELETTO - Marcia e prega 2025 - Una comunità in Cammino giubilare al Santuario di Belmonte -  I piloni dei 15 misteri del Rosario, posizionati ad intervalli regolari sul lato a monte del tracciato, hanno scandito la camminata e le preghiere dei fedeli in un’affascinante connessione tra natura e spiritualità - GALLERY E FILMATI

Sulla via del ritorno, un piccolo gruppo ha condiviso il cibo preparato a casa sulle panchine di pietra del Campass -

(gabriella franzino – edy guglielmetti) – Passo dopo passo sabato 11 ottobre, i...

Che dire? - Tutto veramente "Tov"

BORGO REVEL - "Giubileo Experience"  - Che cos'è la bellezza? - Condivisione, gioia, fantasia, studio della Parola di Dio, arte, intelligenza - Grande occasione offerta dalla Parrocchia di Sant'Anna a tutta la comunità, che presto sarà esportata a Crescentino - Rivediamo parte dello spettacolo con il VIDEO di oltre un'ora e la gallery -

Dall'alto, San Pietro e la Samaritana, guardano quaggiù e paiono domandarsi: cosa non ha funzionato?

Che cos’è la bellezza? La domanda ha impegnato filosofi e pensatori di tutti i tempi e la risposta che dà la Sacra Scrittura sussume ogni significato ulteriore nell’unica e originale, persuasiva ricerca di senso: “E Dio vide che...

AGLIE’, CUCEGLIO, LUSIGLIE’, OZEGNA, S.GIORGIO C.SE – Cinque parrocchie in cammino a Vische

(fabrizio conto) – Pomeriggio ricco di fede e di bellezza, quello vissuto al Santuario del Sacro Cuore di Vische dalle Comunità Parrocchiali di Cuceglio, Ozegna, San Giorgio C.se, Agliè e Lusigliè, lo scorso 18 ottobre. Le...

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DIETRO LO SCHERMO di GRAZIELLA CORTESE

Tre ciotole

Cosa c’è di più rassicurante e familiare delle raccolte-punti? Al supermercato, o...

L’ATTUALE CHIESA DI MEUGLIANO DOMINA LA PIAZZA DEL PAESE, NEL 1948 FU TAPPA DELLA PEREGRINATIO MARIAE

32 anni per decidere se costruirla, 2 per edificarla

Dedicata a San Bartolomeo fu pagata dal senatore Nicolao Gattino. Il figlio la completò con sacrestia e campanile

(di Andrea Tiloca)

Foto: Meugliano, piazza della Cappella, foto anni ‘30 Il saggista Leonardo Sciascia scriveva: “La...

Oggi la S. Messa internazionale presso la Basilica San Pio X presieduta dal Vescovo di Ivrea

LOURDES - Con i pellegrini di Chivasso all "interdiocesano" Oftal che conclude la stagione del pellegrinaggi al Santuario mariano - Qui integrale l'omelia del Vescovo di Ivrea - Giorni di autentica fede e devozione mariana

L'Opera fondata nel Secolo scorso da Mons. Alessandro Rastelli ed ora guidata da Mons. Gian Paolo Angelino, una realtà ecclesiale e sociale altamente meritoria

Prosegue il pellegrinaggio interdiocesano dell’Oftal (Opera federativa trasporto ammalati a...

ROMA – I lavori della III Assemblea Sinodale – Cronaca meditata dei giorni di impegno, preghiera e…votazioni

(elisabetta acide) – E’ in corso di svolgimento (domani la S.Messa in San Pietro presieduta da Papa Leone XIV) la terza Assemblea Sinodale a Roma nei giorni 24-26 ottobre e il contestuale Giubileo delle Equipe Sinodali e degli Organismi di Partecipazione: giorni di impegno e di preghiera, di incontri e di votazioni.

Nel  pomeriggio del giorno 24 ottobre si è iniziato con la partecipazione al Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione, in un’ Aula Paolo VI alla presenza di Papa Leone XIV che, rispondendo alle domande dei 7 delegati di tutti i continenti e aggregati, che hanno esposto in modo puntuale le relazioni dei rispettivi cammini sinodali, sottolinea  la “vocazione missionaria” della Chiesa, che deve “ascoltare il grido della terra”, vivere  rispettare e far fruttificare i carismi di ogni persona ed essere  “ponte tra culture e religioni” per costruire pace e comunione.
Il Santo Padre ha esortato a vivere e crescere nella comunione attraverso l’esercizio della sinodalità per vincere le resistenze, che spesso sono il risultato di paura o mancanza di conoscenza e  auspica (necessità condivisa da tutte le relazioni ascoltate) la formazione come importante “passo” da proseguire e intensificare: “Dobbiamo capire che non tutti corriamo alla stessa velocità e che a volte dobbiamo essere pazienti gli uni con gli altri.
E piuttosto che avere poche persone che corrono avanti e lasciano indietro molte altre, il che potrebbe causare persino una frattura nell’esperienza ecclesiale; dobbiamo cercare modi, a volte molto concreti, per comprendere cosa sta succedendo in ogni luogo, quali sono le resistenze o da dove provengono, e cosa possiamo fare per incoraggiare sempre più l’esperienza di comunione in questa Chiesa, che è sinodale”.
Coraggio e corresponsabilità, vivacità e cura delle relazioni, comunione di fede, speranza e carità.
Il mondo “ha bisogno di segni di speranza… e di entusiasmo, di comunione a partire dalla fraternità” sottolinea il Papa:
“Come Chiesa, dobbiamo essere uniti e riunirci per essere quel segno autentico di speranza, ma anche un’espressione molto reale della carità cristiana, dell’amore fraterno e della cura reciproca, specialmente verso quelle persone che hanno perso tutto a causa della distruzione della guerra, a causa dell’esistenza dell’odio tra di noi”-
E allora le parole del sinodo devono riecheggiare di   quel “noi ecclesiale” che crea la sinodalità, perché non è il “processo” ma le persone che “creano sinodalita’”.
Il Papa invita al coraggio delle scelte per annunciare il Vangelo  e tutti sono chiamati, uomini e donne, popolo di Dio nella sua totalità .

In merito al “ruolo delle donne nella Chiesa” il Papa si affida a due teneri ed efficaci ricordi familiari e precisa che il problema non è che non esistano “possibilità”, ma alla consapevolezza di come “esistano culturalmente ostacoli” che spesso impediscono di esprimere   “quello che potrebbe essere molto bene il loro ruolo (delle donne) “, a causa di esistenti pregiudizi e discriminazioni  “che vanno chiaramente contro il Vangelo e noi molte volte siamo impotenti davanti a queste realtà“.
Il Papa ha parole di speranza :
“Dobbiamo, essere coraggiosi, accompagnare perché, pian piano, forse si possano introdurre dei cambiamenti” perché “il carisma di ogni persona sia veramente rispettato e valorizzato”. 
E’ questa la “sfida per la Chiesa e per tutti noi a vedere come possiamo promuovere insieme il rispetto per i diritti di tutti e tutte”.
Sfida che parte da quella cura delle relazioni che come ricordava nel suo saluto, il cardinale Mario Grech citando Charles Péguy da  Il Portale del Mistero della Speranza , ricordava le virtù teologali: “la fede vede ciò che è, la speranza vede ciò che sarà, e l’amore ama ciò che è“, quale bussola, per “re-immaginare” la Chiesa che  “ascolta, discerne e cammina insieme”, per costruire relazioni che abitano la Chiesa di quell’amore che non è soltanto “emozione”, ma la “postura con cui abitiamo la Chiesa: essa non attende la perfezione, ma sceglie di accogliere la realtà “così com’è”
La giornata dell’assemblea Sinodale del 25 ottobre presso l’Hotel Er.Gi.Fe. si apre con la preghiera e la meditazione del brano del libro degli Atti degli Apostoli al capitolo 15, 22 – 31 per riflettere sull’ importanza del discernimento nello Spirito come segno di speranza e rinnovamento nella fede.
Le relazioni introduttive sono la sintesi dell’intenso lavoro del cammino di questi anni e preparano all’ importanza della votazione del documento come sintesi non sono del cammino sinodale della Chiesa, ma del riconoscimento dei doni reciproci, delle esperienze e dei ragionamenti, dei volti incontrati e dei passi percorsi pur nelle difficoltà e fragilità.
Le parole del Cardinale Matteo Maria Zuppi, di Mons.Erio Castellucci, di Mons. Valentino Bulgarelli invitano a riconoscere l’ Importanza del cammino, del metodo sinodale, dell’ascolto, del dialogo, del discernimento, e sottolineano che non sia tanto importante “dove” si arriverà, quanto lo sia, “il cammino” ricco che è stato percorso, e che ora deve essere “attuato” con sempre maggiore corresponsabilità.
Viene presentato il Documento,
LIEVITO DI PACE E DI SPERANZA – Documento di sintesi
forse non “perfetto”, ma frutto non tanto di un “compromesso” (come sottolinea Mons. Castellucci), quanto della riflessione profetica del popolo di Dio, della bellezza vissuta come dono, impegno e sacrificio del cammino da vivere con coraggio ed entusiasmo; lavoro che dovrà proseguire e concretizzarsi in un intenso lavoro nelle Chiese locali in fase attuativa. 
Il voto dell’Assemblea, dunque, come espressione, della libertà dell’ accoglienza, dello “spazio dello Spirito” del discernimento del bene e del bello, per il Vero.
Il Documento, sarà in seguito sottoposto ai Vescovi riuniti in Assemblea a novembre, che riceveranno anche le singole votazioni come riflessione dell’ assemblea ed espressione delle scelte.
A loro il compito di recepire il cammino e preparare i documenti di priorità delle azioni pastorali.
Gli esiti della votazione sono stati i seguenti:
Un momento di “sintesi” allora, racchiuso in quello scritto, pur non esente da imperfezioni, ma rappresentante la speranza, le sofferenze e le attese del popolo di oggi che cammina.
Un testo ampio e ricco, frutto di un lavoro che rispecchia fedelmente il cammino sinodale percorso, che a tratti ha il sapore della “profezia” per uomini e donne del nostro tempo e che traccerà il prossimo futuro della Chiesa Italiana.
Una tappa “decisiva” del percorso, non un testo “canonico”, ma un testo sicuramente importante, forse “sofferto”, che è l’espressione del “noi ecclesiale” (ricordiamo la scelta di aprile di effettuare una revisione del testo proposto e “rimandare ad ottobre” la sua votazione)  e – non meno importante – frutto di revisione (ricordiamo l’Assemblee Regionali svolte nel mese di ottobre di cui abbiamo dato notizia), di impegno, di ascolto e di riflessione, di discernimento e di scelte che, votato, sarà sottoposto alla analisi e ri-valutazione dei Vescovi.
Un testo che ha “raccolto” la “voce dello Spirito” in quella metodologia sinodale che ha insegnato a leggere “ciò che lo Spirito dice alla Chiesa”, ma soprattutto un testo che dopo la revisione e discussione dei Vescovi, traccerà il “futuro della Chiesa” nell’immediato futuro.

La delegazione di Ivrea ha partecipato alla votazione al completo: S.E.R. Mons. Daniele Salera, can. Meinardi Luca, prof.ssa Acide Elisabetta e prof.ssa Gili Borghet Valentina che hanno partecipato ai lavori ed alla votazione del documento  proposto all’assise composte da vescovi, delegati diocesani, referenti regionali e membri del Comitato sinodale, preparato e successivamente integrato sulla base degli emendamenti emersi nel corso della seconda Assemblea sinodale (31 marzo – 3 aprile 2025), con un intenso lavoro della Presidenza Cei, del Comitato del Cammino sinodale, del Consiglio Permanente, degli Organismi della Cei (Commissioni Episcopali, Uffici e Servizi della Segreteria Generale) e delle Regioni ecclesiastiche.
Ricordiamo il documento (allegato integrale al link sopra esposto) richiedeva una votazione generale sull’introduzione, una votazione sulla Introduzione, sulla prima parte e sulle proposizioni in essa contenute (55), una votazione sulla seconda parte e relative relative proposizioni (37), e una sulla terza parte e sulle sue proposizioni (32).
Alla fine, è stato espresso un voto generale sull’intero Documento di sintesi.
Un totale di 129 espressioni di voto che raccontano quel “noi ecclesiale” e quel cammino giunto in questa fase.
DETTAGLIO ESITO VOTAZIONI
La modalità di votazione secondo il regolamento  del cammino sinodale prevedevano l’ espressione singola dei membri, a scrutinio segreto, con la possibilità di di esprimere votazione “favorevole” (placet) o “non favorevole” (non placet), attraverso la modalità elettronica un voto generale dell’intero documento, delle parti e delle singole sue proposizioni. voto viene espresso con modalità elettronica.
Alcune proposizioni, come si evince dai dati allegati, risultano votati solo da una parte, vista la non possibilità di esprimere parere di astensione, alcuni membri dell’Assemblea non hanno espresso alcun voto per la proposizione.
Interessanti ed articolare, allora le “votazioni” che hanno evidenziato, nonostante l’approvazione ampia, la registrazione di “voti non favorevoli”, come ad esempio:  l’introduzione nelle chiese locali di cammini di giustizia ripartiva come antidoto a ogni forma di violenza o discriminazione (111 contrari); o la discussione per azioni di advocacy e lobbying per il nesso tra esclusione sociale e dinamiche strutturali (non favorevoli 145); il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender che già appartengono alla comunità cristiana (154 contrari) o il sostegno alle “giornate” civili su temi sociali (185 contrari); creazione di gruppi liturgici competenti con vocazioni e carismi diversi (121 contrari); creazione di gruppi di studio delle Facoltà Teologiche  per il diaconato delle donne (188 non favorevoli); e tavoli di studi internazionali per il ruolo della donna nella Chiesa (158 non favorevoli); remunerazione di persone impegnate in ministeri ecclesiali (174).
Espressioni di voto in discernimento, dunque, come coscienza personale al servizio dello Spirito, perché possa diventare coscienza ecclesiale.
Il Documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia approvato dall’Assemblea degli 809 votanti, composto da tutte le proposte presentate e recante il numero della votazione dell’intero documento, che risulta approvato con un totale  di “favorevole” 781, contrari 28 a cura della Presidenza del Cammino sinodale d’intesa con la Presidenza Cei, verrà inviato e sottoposto Consiglio Episcopale Permanente e all’Assemblea Generale della Cei per le determinazioni di competenza, a norma dell’art. 16 del Regolamento del Cammino sinodale, prevista per il prossimo novembre, chiamata a tradurre gli orientamenti del Documento Finale in scelte pastorali e strutturali coerenti con la natura sinodale della Chiesa.
Il lavoro, allora, è stato davvero “espressione sinodale” di un riconoscimento dei doni reciproci, di incontri, di passi e di cammini di persone che hanno incontrato Cristo e si “ri-conoscono” reciprocamente, un voto che è espressione di incontri e di “ragionamenti”, di ascolto e di discussioni, di riflessioni, di difficoltà e di fragilità, ma anche di “coscienza ecclesiale”.
Si aprono “strade”, forse, come abbiamo visto, non è importante “dove” si arriverà, ma c’è l’importanza di un cammino fatto insieme che si avvia ad una “attuazione”, fatto di “scelte pastorali” che saranno messe in campo per il futuro della Chiesa, frutto di un cammino di discussione e di corresponsabilità.
Forse appare già una grande novità nata proprio da quel “metodo sinodale” che abbiamo imparato a vivere, praticare, esercitare: il cammino sinodale “parla” non solo alla Chiesa, ma alla società, agli uomini ed alle donne che la abitano, perché la Chiesa nel mondo è “lievito di pace, di concordia, di fraternità” (come ricordava Papa Leone XIV nel discorso di insediamento e ricordato in Assemblea dal Card. Zuppi).
La Chiesa è servizio al mondo, agli affamati, agli assetati… a tutti gli uomini del nostro tempo, alle loro attese, alle loro speranze, ai loro cammini.
Compito della Chiesa è vivere senza “difendersi” dalle “provocazioni dello Spirito”, con coraggio, in stile sinodale, per vivere la missione con la logica della prossimità,con la fedeltà al Vangelo, per essere, come già ricordava Papa Paolo VI “esperta di umanità” (rerum humanarum peritissima), “competente” con l’impegno e la corresponsabilità di tutti, forma concreta della comunione a immagine della Trinità, desiderosa di vivere l’impegno di tutti ad essere “soggetti ecclesiali” con carismi e doni diversi, che sanno cercare sintesi per la missione affidata da Cristo.
La tre giorni Assembleare si concluderà domani con la partecipazione alla Santa Messa nella Basilica di San Pietro presieduta da Papa Leone XIV, all’interno dell’evento del Giubileo delle equipe sinodali e degli organismi di partecipazione  che rappresenta il riconoscimento al prezioso servizio svolto da questi organismi e dalle persone che vi operano, inscrivendo l’edificazione di una Chiesa sempre più sinodale nell’orizzonte della speranza giubilare.

PAROLA DI DIO – “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Es 17, 8-13
Dal libro dell’Èsodo
In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm.
Mosè disse a Giosuè: “Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio”. Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle.
Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole.
Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.
Sal 120
RIT: Il mio aiuto viene dal Signore.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
  RIT: Il mio aiuto viene dal Signore.
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
  RIT: Il mio aiuto viene dal Signore.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
  RIT: Il mio aiuto viene dal Signore.
Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.
  RIT: Il mio aiuto viene dal Signore.
2 Tm 3, 14 – 4, 2
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo.
Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù.
Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
Lc 18, 1-8
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
“In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi””.
E il Signore soggiunse: “Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.
***
UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE
Una contesa per l’acqua. Israele deve affrontare la battaglia contro Amaleck e il suo popolo, proveniente dalle montagne di Seir, per quell’acqua che Mosè aveva fatto scaturire dalla roccia.
Battaglie per l’elemento vitale, una nella valle e l’altra sul colle. A Refidim.
Un uomo orante: Mosè, un uomo combattente: Giosuè.
Prega con le braccia alzate, quelle braccia stanche che devono essere “sostenute” e lo fanno Aronne e Cur.
Un susseguirsi di preghiere e di stanchezza, un susseguirsi di battaglie dove prima prevalgono gli Israeliti e poi gli Amaleciti.
Una preghiera “incessante”, una preghiera fiduciosa, un “abbandono” non ai riti, ma alla preghiera continua, sostenuta dalla fede in quel Dio che non è nominato ma è “Presente”.
Una “preghiera” insieme, “sostenuta” da chi è vicino, una preghiera con le “braccia alzate”, una preghiera che non conosce incertezze né fatica, che trova le parole.
Una preghiera che è “più vittoriosa” della battaglia.
Una preghiera insieme, notte e giorno.
Una preghiera a Dio, che non conosce il silenzio della notte né il rumore del giorno, a Dio che è presente ed operante, non come “voglio io”, ma come è “bene per noi”, e lo sa bene il salmista:
“Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele” (salmo).
Il Dio-custode, il Dio creatore, il Dio che non si addormenta, che veglia, che soccorre, che è “Presente”.
Un Dio che ascolta, ode quelle preghiere sussurrate, quelle del cuore, quelle del bisogno, quelle delle necessità, quelle inespresse, quelle “pensate” e non ancora “formulate”.
Quella preghiera che è “respiro” del credente e della fede (riferimento alle parole di Papa Francesco: Conferenza Stampa di presentazione dell’Anno della Preghiera in preparazione al Giubileo 2025 e della collana “Appunti sulla Preghiera”, 23.01.2024), che è “aria necessaria”, dialogo che vivifica ed alimenta il dono della fede.
Preghiera che è “via verso la santità” (Papa Francesco).
Via…
Come quelle braccia alzate e sorrette di Mosè.
Via al cielo… cammino verso Dio…parole del cuore, di quella “comunità” che “sorregge” quelle “braccia alzate” e stanche, quelle braccia che a volte crollano per la sfiducia o la stanchezza…
La preghiera di cui San Paolo dirà: “Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie” (cfr. 1lettera ai Tessalonicesi), che è “respiro vitale per il cristiano”.
E di quella preghiera “ininterrotta”, “incessante” ci parla Gesù con una parabola, con il suo sguardo sulla vita, con quelle parole così vicine che non si possono non comprendere.
Una storia di donna come altre nel Vangelo, ce ne parla in modo “esclusivo” l’evangelista Luca.
Una storia, una donna vedova, un giudice disonesto, una città, una ingiustizia, un avversario…
Una donna vedova coraggiosa e intraprendente che osa affrontare un giudice disonesto, come solo le donne sanno fare.
Ogni giorno con la perseveranza e la convinzione, con il coraggio e la “svegliatezza” del desiderio della verità e del bene, con l’ “ostinazione” della richiesta.
Nessun nome, solo l’azione: continuamente…
Senza sosta, nel tempo prolungato, ogni giorno…
Oltre l’attesa, oltre l’aspettativa, oltre la speranza…
La preghiera che non ottiene, che sembra “inutile”…
La parabola della “voce fastidiosa”…
Nell’originale greco il “passaggio” delle riflessioni di quel giudice disonesto è sublime, non siamo riusciti a renderlo bene nella lingua corrente, ma l’originale andrebbe tradotto con: “colpire sotto l’occhio” (hypopiázein), in gergo non politicamente corretto diremmo “spaccarmi la faccia”, ma rende bene l’idea.
Quel colpo “proibito”, in pieno volto, sotto l’occhio, che non è solo “fastidioso”, ma anche “proibito” sui ring nei combattimenti.
“Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi” (a “farmi una faccia gonfia” che rende bene l’idea !).
Basta… almeno non la sentirò più, non la vedrò più…
E quella donna, quella vedova “non si stanca”…
E Gesù la “vede” e la porta come “esempio”.
Una donna che non si “arrende”; sa che “la giustizia” ha bisogno della Verità, sa che, se non è giusto, bisogna dirlo, chiedere, domandare…
Donna audace e determinata.
E Gesù la guarda e la indica come “modello” di preghiera.
Preghiere infinite…
Preghiere definite?
Preghiere sfinite?
Preghiere del cuore…
Preghiere che non fanno le “moltiplicazioni” delle parole, le “addizioni” delle richieste, le “sottrazioni” dei mali, le “divisioni” dei miracoli, formule sicure e applicabili ad ogni “necessità”… ma preghiere che sono “nascoste nel cuore”, che sono balbettio inespresso ma costante, che non “hanno parole”, ma che hanno “desiderio”.
Mi piace questo Gesù che ha attenzione per le donne, per le vedove, per chi si ribella all’ingiustizia, per chi è nel bisogno, nella sofferenza, nella malattia, nella difficoltà  per chi ha compreso che è “piccolo” ma non abbandonato…
Mi piace questo Gesù che aiuta a capire che la preghiera non è avere una “bacchetta magica”, che non è trovare la “formula” per ottenere il “tutto”, per “cambiare” il progetto di Dio, ma è comprendere la possibilità di cambiare il cuore e abbandonarsi fiduciosi al disegno di Dio.
E la preghiera sarà il “respiro” della fede, della vita, quel “respiro” che si intreccia con quello di Dio, che diventa dialogo, abbraccio, abbandono…
Pregare è amare.
E se quando amo non mi stanco di ripeterlo, di stare insieme, quando ho fede non mi stanco di pregare.
Gesù pone l’accento sulla preghiera e non poteva che usare immagini efficaci per questa azione orante.
San Luca lo espone in modo esplicito: “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”.
E Gesù pone una domanda: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc. 18,8). Le domande di Gesù sono sempre “artigli” che ci catturano, che ci costringono a pensare, a riflettere, a rileggere quelle parabole, quelle parole, la Parola.
Le domande di Gesù ma anche le domande dell’uomo, oggi come quelle della prima comunità cristiana coeva di San Luca: quando Dio verrà a “giudicare” il male, quando verrà a salvare i giusti?
Attesa e speranza.
La fede.
Non la Chiesa, non uomini e donne giusti, non santi, non la religione…la fede.
Questa è la cosa che “sta a cuore” al Figlio dell’uomo: la fede.
La domanda ci costringe a pensare: quale “fede” troverà? O meglio quale “fede vorrebbe trovare”?
Forse la fede “della donna vedova”, quella della preghiera incessante al giudice, quella dell’ “ogni giorno”, quella “della giustizia giusta”, quella della Verità…
L’insistenza esaudita: “venga il tuo Regno…”.
Il Tuo, come dono, come quella fede, “respiro” e “soffio” della vita cristiana.
“Venga il Tuo Regno”, da accogliere ed attendere e accresci la nostra fede.
“Venga il Tuo Regno”, lo desideriamo con fede.
“Insegnaci a pregare”.
Insegnaci a pregare sempre, a non stancarci mai, ad “alzare le braccia”, ad aprire il cuore, a sussurrare le parole della fede, della vita, del ringraziamento, della gioia…sempre, incessantemente…
Insegnaci ad essere “fastidiosi” nella preghiera, a non avere timore di “colpirti in faccia” con le nostre parole, con i nostri pensieri, con la nostra povera vita…
Insegnaci a pregare, ad aprire gli occhi al Tuo Regno, ad accogliere il Tuo Amore.
E saremo “esortati” come san Paolo sa fare:
“«Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù» (Seconda lettura).
Insegnaci a vivere nella Tua Parola: “utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”.
Insegnaci a testimoniare con fede la Tua Parola: “annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento”.
Insegnaci ad essere perseveranti insieme nella preghiera, a sostenerci, incoraggiarci nella fede e nella preghiera, insegnaci ad essere comunità orante, comunità perseverante, comunità di fede.
Insegnaci a fare della nostra vita, una vita di preghiera, a non chiedere mai “Dove è Dio?”, ma “dove è la nostra fede?”.
Insegnaci a pregare ed anche la nostra preghiera accrescerà la nostra fede.
 
 

Due pietre, una città (di Filippo Ciantia)

Nel quartiere Solari, una volta quartiere operaio di Milano, a pochi passi dalla Stazione Centrale e dai Navigli, due segni di pietra raccontano storie di libertà coraggiosa e coscienza leale.
Sul muro di un edificio in via Salaino, una targa in marmo ricorda Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera assassinato il 28 maggio 1980 da un commando terroristico della Brigata XXVIII marzo. Una vita dedicata alla ricerca della verità.
Tobagi era un cronista molto apprezzato, rigoroso, impegnato a raccontare i conflitti sociali senza pregiudizio. Negli anni bui del terrorismo raccontava la violenza con lealtà, cercando di comprenderne le radici per costruire dialogo. Per lui il giornalismo era un atto educativo: capire prima di giudicare, spiegare per unire. La sua morte non spegne la sua voce: quella frase nel marmo resta una lezione civile per chi sceglie la verità invece dell’odio.
Pochi metri più in là, nel Parco Don Luigi Giussani, un cippo sobrio e luminoso ricorda il sacerdote (1922–2005) che fondò Comunione e Liberazione. La città gli ha dedicato il giardino che un tempo era Parco Solari, per onorare un educatore che ha lasciato un segno profondo non solo nella storia di Milano.
Don Luigi insegnò che la fede non è fuga, ma presenza: un modo di guardare la realtà con speranza e intelligenza. Educare, per lui, significava risvegliare la libertà e far emergere il desiderio di verità come forza che trasforma. Come bene è stato detto, “Giussani cercava di comunicare una affermazione della vita in pienezza”.
Misteriosamente, Marco Barbone (l’assassino di Tobagi) compì il percorso del pentimento e della ricostruzione della sua vita, attraverso il rapporto con alcuni seguaci di Giussani.
La targa di via Salaino e il cippo nel parco formano un dialogo ideale tra ragione e fede, ricerca della verità e riconoscimento della verità incarnata. Entrambi hanno creduto nella libertà come responsabilità e nella parola come strumento di educazione. Uniti nel percorso difficile e doloroso del pentimento e del perdono.
In questo angolo di Milano, le due pietre raccontano la stessa città, la stessa urgenza di libertà e verità. Una memoria civile e spirituale che continua a educare lo sguardo, invitando a vivere con coscienza, a guardare gli altri con rispetto e attenzione. Ad amare.

PAROLA DI DIO – “O Dio, abbi pietà di me peccatore” –

Sir 35,15-17.20-22
Dal libro del Siràcide.
Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
Sal 33
RIT: Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
  RIT: Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
  RIT: Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.
  RIT: Il povero grida e il Signore lo ascolta.
2 Tm 4,6-8.16-18
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo.
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Lc 18, 9-14
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
***
UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE 
Nel II secolo si eleva la voce di Ben Sira (prima lettura), una voce che ha il sapore della “catechesi” (come la intendiamo noi oggi), di quella che è la rassicurazione per il popolo di Israele, sulla scia della tradizione sapienziale.
Una “lezione sulla preghiera”: Il Signore non fa “preferenza tra persone”.
Una promessa rassicurante, l’umile preghiera piena di “umanità”, che non ha bisogno di sterili ritualismi o di sacrifici “ricchi” a dimostrazione dello status sociale.
Dio, afferma, non è come quei giudici che sedevano alle porte della città e spesso non amministravano la giustizia “giusta”, ma una “giustizia” di “comodo”, di simpatia e privilegi o di denaro…
Dio è “giudice giusto”, che “guarda” all’uomo ed alle donne, tutti, indistintamente, perché la “preghiera giunge fino alle nubi”, dove quel “cuore” di Dio ha spazio per tutti.
Nei salmi la preghiera del “singolo” diventa la preghiera del “popolo”, della comunità, della condivisione.
La preghiera che non va “trattenuta” per sé ma che viene condivisa: “Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode”… e insieme “benediremo”, e insieme “loderemo”.
“Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti. Il Signore riscatta la vita dei suoi servi; non sarà condannato chi in lui si rifugia” (Salmo): versi di speranza, di fiducia.
Canto di lode di tutti gli uomini, perché tutti siamo affranti, abbiamo il cuore spezzato, abbiamo bisogno di “riscatto” e il Signore è “vicino”, è “accanto”, è “prossimo” all’uomo di tutti i tempi, agli uomini in cammino, alle persone che “nonostante tutto…”.
Dio è prossimo, è rifugio, è sostegno, non abbandona… Parole bellissime di una fede che “non si stanca”, che “prega incessantemente”, che è “fastidiosa” come quella della vedova che voleva giustizia.
E Gesù racconta un’altra parabola (Vangelo), non basta pregare “insistentemente” con perseveranza, Gesù ancora ci “insegna come pregare”.
Gesù è maestro di preghiera ed ha cura dei discepoli, non li lascia senza indicazioni, liberi di “chiedere” al Padre con l’atteggiamento dei figli.
E il suo “insegnamento” è fatto di racconti, di esempi, di storie di vita…
Risuona ancora quella domanda: Che cosa troverà il Figlio dell’uomo quando verrà sulla terra? (Luca 18,8).
Troverà uomini in preghiera…
Troverà pubblicani e farisei, troverà donne e uomini con le braccia alzate, con le labbra balbettanti, con le voci roche dalle mille preghiere o “senza voce” per quelle preghiere difficili e inespresse…
Una parabola… una “storia” di vita che “penetra” nella vita di ciascuno, nella quale ciascuno può riconoscersi e riflettere.
Un pubblicano ed un fariseo nello stesso luogo, con la stessa azione… ma con atteggiamenti diversi.
L’evangelista Luca ci dice “a chi” era rivolta la parabola: “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.
Gesù ha un nutrito gruppo di interlocutori, oggi come allora, i “giusti”, meglio “quelli che si ritenevano giusti”.
A Gesù non sfugge la “tentazione” umana della presunzione, la convinzione di “essere i migliori”, di “saper pregare”, di “essere giusti”, di essere “meglio”.
Interessante questo inciso dell’evangelista, perché sottolinea come il “pretesto” della narrazione, sia in realtà la “questione sostanziale”: se io mi ritengo “giusto”, “migliore” è perché mi pongo “a confronto” con gli altri, mi ergo a “giudice”, sono più preoccupato di essere “meglio” che non di essere fratello, ma la condizione, Gesù lo ha detto chiaramente, è quella della “relazione”.
“Giustizia” è nelle parole di Gesù, la relazione con Dio e con il prossimo nel modo “giusto”. Dio e i fratelli, la relazione con il Creatore e le creature, la relazione con il Padre che crea di me un figlio ed un fratello.
 Se non so riconoscere chi sono io in relazione a Dio che mi ha creato, ed ai fratelli e sorelle, non sono in grado di essere “figlio”.
Parole “dure”, che l’evangelista già nei capitoli precedenti ci riporta.
Gesù ancora ha “pazienza” e racconta un’altra parabola: protagonisti un fariseo ed un pubblicano, due uomini al Tempio, due uomini come ce n’erano tanti intorno a Lui, due uomini che vivono la “relazione di preghiera” con il Signore, eppure la loro preghiera, ci dice Gesù, è molto diversa.
Un fariseo ed un pubblicano.
Il primo è il “protagonista” delle “prime file”, della “preghiera perfetta”.
Una preghiera “in piedi”, diremmo noi, ai “primi banchi in centro navata”, ad alta voce, particolareggiata, fatta di azioni e “pagamenti”, prescrizioni ed adempimenti, ed una preghiera con gli “occhi bassi”, nel posto più “nascosto”, diremmo, quella delle ultime file.
La traduzione CEI  riporta il verbo “disprezzare”, ma se leggiamo il testo in origine, il verbo è ancora più “eloquente”, potremmo tradurlo con: vale niente altro che zero.
L’uomo che giudica “zero” gli altri… che “disprezza”.
La “presunzione” della “giustizia umana”, della “sicurezza di non sbagliare”.
Il “giudizio” che “rende nullo” l’altro, che non lo considera, che non lo ritiene “degno”, che non lo “vede”… è davanti lui, gli volta la schiena, troppo impegnato a “lodarsi” nella preghiera, troppo “pieno di sé”, troppo “pieno della sua giustizia” per accorgersi dell’ “altro”.
Potrebbe anche essere “bello” questo modo di pregare del fariseo: “in piedi”, uomo con la “giusta posizione”, che “sa pregare” (questa era la posizione corretta degli ebrei in preghiera che abitualmente pregavano), ma il fariseo prega  non tra sé, ma “davanti a sé”, la sua preghiera “torna” a sé, non sale a Dio, quasi che pregasse “per sé”, per “rassicurarsi”, per “confermarsi”.
“O Dio ti ringrazio…” l’avvio della preghiera del fariseo è “corretto”, anche noi iniziamo molte preghiere in questo modo, ma poi usa quel “non” ed avvia il confronto, si erge a giudice dei fratelli, già si riconosce migliore e degno.
La sua preghiera non è rivolta a Dio, ma autoreferenziale, si compiace dei suoi atteggiamenti, delle sue scelte, della sua vita.
La narrazione di san Luca è molto “ricca” di personaggi e contrapposizioni, coglie gli “atteggiamenti umani” ambivalenti.
Sceglie il fariseo ed il pubblicano.
A noi oggi, quasi sono “simpatici” questi pubblicani (ricordiamo Levi, Zaccheo), ma al tempo di Gesù erano “categoria” invisa un po’ da tutti: dagli ebrei che li consideravano ladri e peccatori, al servizio dei conquistatori e dagli stessi romani e greci che li consideravano “opportunisti”, a “servizio” di comodo al padrone più offerente.
Il “fariseo” che antepone la “legge” e le sue prescrizioni alla relazione, alla misericordia, all’umiltà, osservanza “miope”, che vede solo “obblighi” e non “persone”, o meglio le “persone” sono viste solo se “in relazione” a ciò che io ritengo “giusto e degno”, solo in relazione a ciò che io reputo “cattivo e ingiusto”, affinché io possa riconoscermi “giusto e degno”.
Un “cuore”, quello del fariseo, abitato indubbiamente da zelo per il Signore (paga anche la decima non dovuta, infatti era dovuta solo per la vendita, lui la versa anche per l’acquisto), dalla “dedizione” alle pratiche.
Quanta “povertà”!
Povertà perché è “chiuso” nella sua “fervente e obbligatoria preghiera”, che forse acceca il suo sguardo verso i fratelli e dunque, di conseguenza, verso il Padre.
Eppure ancora oggi “intravediamo” i farisei, quelli con la “postura in piedi”, la voce stentorea, le preghiere “ad alta voce”, a volte magari, anche noi lo siamo.
E all’estremo, (sottile la narrazione di San Luca, fatta di “opposti”) un uomo che prega a bassa voce, lontano, con poche e parche parole, a “capo chino”.
Eppure da quell’uomo “nascosto”, che si batte il petto, viene la preghiera più bella: “O Dio, abbi pietà di me peccatore“.
La preghiera della misericordia, quella che non ha bisogno di tante parole, quella che non ha bisogno di voce stentorea, quella che sgorga dal riconoscimento di essere “nulla”.
“O Dio”: l’esordio della preghiera dei due uomini nel Tempio, è “comune”, ma la preghiera è molto diversa.
Eppure “Questo discese a casa sua giustificato a differenza di quello. Poiché ognuno che si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato”.
Che meraviglioso ritorno! Un cammino nuovo, un ritorno che è un inizio, una preghiera umile che ha il sapore della grandezza.
Dio “guarda” l’umiltà (non possiamo non scorgere in questo versetto un altro brano dell’evangelista Luca al capitolo 1,39-56) e concede nuovi “inizi”, nuovi “cammini”, misericordia che rinfranca i passi, che libera e rende
E il pubblicano è protagonista di un “ritorno” “in discesa”, non perché si “scende” da Gerusalemme a Gerico in modo geografico, ma perché si “scende” perdonati, abbracciati, innalzati dall’Amore del Padre.
Non sappiamo se il fariseo ha “proseguito” o anche lui è “disceso”, Gesù ci lascia “immaginare” la conclusione, come altre volte, della parabola, perché lascia la prospettiva delle “strade aperte”.
Voglio pensare che anche il fariseo sia “disceso” con la consapevolezza dell’uomo abbracciato e perdonato, con lo sguardo di “relazione” verso il pubblicano che uscendo dal Tempio è riuscito a guardare con occhi diversi…
Voglio immaginare pubblicano e fariseo insieme su quella strada per “tornare diversi”, “insieme”, capaci di “riconoscersi”, capaci di “guardare e guardarsi con sguardo umile” per apprezzare non solo le colpe, ma i “meriti” di se stessi e degli altri.
Gesù ci ha insegnato i passi della “grammatica” della preghiera, come quando le nostre maestre alle scuole elementari ci hanno insegnato le lettere, le sillabe, le parole, le regole, gli accenti, la punteggiatura… per poter scrivere parole belle.
Così anche Gesù ci conduce attraverso i passi progressi dell’apprendimento della preghiera: dal Padre nostro alla preghiera umile, dalla preghiera incessante ed insistente, quasi molesta, alla preghiera delle “parole sussurrate”, delle parole del cuore, quella preghiera che cambia la vita, che è riconoscimento del Bene, che è riconoscimento della misericordia, non dell’Onnipotenza, ma dell’  Onniabbraccio dell’Amore.
L’ “Onnipotenza della Misericordia”.
La preghiera del “cuore a cuore”, della “confidenza” a quel Padre e Madre, la preghiera che “libera” l’anima e non la paralizza per timore di peccare o di sbagliare, non la imbriglia nelle “regole”, ma la fa “canto”, la fa “danza”, la fa “comunione”.
La “preghiera” della “pietà”, del “riconoscimento”, perché se mi “riconosco”, Dio mi “riconosce e mi aiuta a “riconoscermi”: peccatore perdonato, mendicante e ricco.
La preghiera che non mi fa “vedere un Dio che punisce, ma un Dio che ama, che accoglie, che attende, che “porge l’orecchio”, perché il suo volto è quello che ci ha mostrato il Figlio: “Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci si sbaglia su tutto, sull’uomo, su noi stessi, sulla storia, sul mondo” (Turoldo).
Una preghiera che è come quella pagina mirabile di San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (seconda lettura).
Signore, vorrei avere anche io la forza e la consapevolezza di pregarti così.
Una preghiera umile e forte nella testimonianza.
La preghiera del “soldato e dell’atleta”, che combatte e corre.
Non sono né l’uno né altro, ma vorrei, Signore, con lo slancio di S. Paolo, poter dire al “termine” della corsa, queste stesse parole per Te.
Non so se ho fatto “battaglie”, forse qualche “corsa”, vorrei sempre “conservare la fede”, il dono meraviglioso e gratuito, ricevuto nel Battesimo.
Quanto sono riuscita a “conservarla”?
Signore confido nella Tua “corona di giustizia”, forse non la merito, ma confido nella Tua misericordia, nella Tua pazienza, nella Tua bontà, nel Tuo Amore.
“Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno”: San Paolo è pronto, il suo discorso di addio si conclude, la sua testimonianza è stata ricca e può concludere con la formula della fiducia totale ed assoluta, della fede incessante e certa: “A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.”
Solo Dio ha un “regno di gloria”.
“Venga il Tuo Regno”… lo vogliamo Dio, perché sappiamo che il Tuo è un Regno di luce e di pace, un Regno di gioia e di gloria, un Regno per l’uomo e le donne di “buona volontà”, che sperano contro ogni speranza, che amano con il balbettio della fede incerta e zoppicante, ma che sanno che un Dio che muore sulla croce amando, non può che abitare nell’Amore.
Allora dobbiamo essere uomini e donne di preghiera, in preghiera, ma soprattutto “in ascolto”: importante parlare a Dio ma soprattutto ascoltarLo, prestare orecchio alla Parola, e allora la nostra preghiera sarà quella dei cercatori d Dio.
 
 
 

La Parola che ci chiama, ci sfida, ci impegna… – Commento al Vangelo di domenica 26 ottobre

Gesù racconta una delle parabole più spiazzanti e attuali: quella del fariseo e del pubblicano. Due uomini salgono al tempio, due modi opposti di stare davanti a Dio, e forse davanti alla vita.
Il fariseo recita la sua preghiera quasi fosse un curriculum spirituale. Elenca le sue virtù, confronta, giudica. Non dialoga con Dio: si autocelebra, pensa a se stesso. È già pieno di sé, e dove c’è già tutto pieno, Dio non può entrare. La sua figura è la rappresentazione di chi crede che la fede sia un merito da esibire, un distintivo che legittima il disprezzo verso gli altri.
Il pubblicano, invece, non ha nulla da mostrare. Si ferma lontano, non osa neppure alzare lo sguardo, trova il coraggio di dire la verità su se stesso, riconosce il proprio limite e chiede misericordia. Non finge, non si giustifica, non si confronta. Si affida. La sua povertà è la porta attraverso cui Dio entra.
E Gesù spiazza tutti: a tornare “giustificato” è il pubblicano, cioè colui che riconosce la propria fragilità. E qui si ribalta la prospettiva: è la logica del Vangelo, così lontana da quella del mondo. In una società che spinge a mostrarsi impeccabili, Gesù ci invita a guardarci dentro con onestà, a mettere da parte la nostra maschera e a lasciarci amare così come siamo.
Questa parabola è un colpo di luce. Dice che Dio non si lascia impressionare dai titoli morali né dalle apparenze. L’umiltà, che nel linguaggio di oggi potremmo chiamare autenticità, diventa misura della fede. La nostra preghiera è dialogo d’amore o elenco di ciò che facciamo? L’umiltà non è debolezza, è verità. È riconoscere che siamo creature amate, peccatori perdonati, mendicanti della grazia. La nostra povertà non è un ostacolo alla grazia, è la porta. Dove noi finiamo, lì comincia Dio.
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

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